8 Sep 2025
"Il capitale senza coscienza è la rovina dell'anima" - questa rivisitazione del pensiero di Rabelais trova oggi una traduzione normativa nell'IRES premiale al 20% per il 2025. La misura, introdotta dall'art. 1, commi 436-444 della Legge di Bilancio 2025, segna un momento epocale: per la prima volta, il legislatore italiano non si limita a incentivare il profitto, ma ne condiziona il trattamento fiscale privilegiato all'adozione di comportamenti socialmente responsabili.
L'infiltrazione dei principi ESG nel tessuto normativo fiscale non è più un'opzione cosmetica, ma diventa architrave strutturale delle politiche di sviluppo. Come osservava Milton Friedman, "la responsabilità sociale dell'impresa è aumentare i profitti" - ma oggi questa massima viene capovolta: i profitti diventano socialmente legittimi solo se generano valore condiviso.
Il cuore del meccanismo risiede nella riduzione di 4 punti percentuali dell'aliquota IRES (dal 24% al 20%) subordinata a tre condizioni cumulative che rappresentano i tre pilastri di una nuova filosofia d'impresa:
"L'impresa del futuro non estrae valore, lo genera" - questa transizione paradigmatica trova nell'IRES premiale il suo primo strumento operativo.
La cumulabilità con i crediti d'imposta per investimenti in beni strumentali 4.0 e transizione 5.0 crea quella che potremmo definire un'alchimia fiscale virtuosa. Come nell'antica ricerca della pietra filosofale, qui la trasformazione non è del piombo in oro, ma del capitale dormiente in innovazione produttiva.
Esempio pratico: Un'impresa che investe 1 milione di euro in tecnologia 4.0 attiva una cascata di benefici che riduce il costo effettivo dell'investimento di oltre il 40%. Ma il vero oro non è nel risparmio fiscale: è nella trasformazione competitiva che ne deriva.
"Una società che non crea lavoro è una società che divora se stessa". L'IRES premiale risponde a questa sfida epocale imponendo non solo il mantenimento dei livelli occupazionali, ma la creazione di nuova occupazione stabile. È la risposta normativa alla contraddizione del capitalismo contemporaneo: crescita senza occupazione, profitti senza prosperità condivisa.
I Fondi Paritetici Interprofessionali rappresentano un tesoro nascosto: oltre 600 milioni di euro annui che le imprese già finanziano con lo 0,30% del monte salari, ma che spesso giacciono inutilizzati. È il paradosso dell'abbondanza ignota: le imprese pagano per una formazione che non richiedono, mentre lamentano la mancanza di competenze.
L'integrazione tra IRES premiale e fondi interprofessionali rivela una verità profonda: la formazione non è un costo ma un investimento nell'umano, quella risorsa che nessuna intelligenza artificiale potrà mai completamente sostituire.
I criteri ESG non bussano più educatamente alla porta delle imprese: sfondano l'uscio attraverso la leva fiscale. L'IRES premiale rappresenta il cavallo di Troia attraverso cui la sostenibilità penetra nelle cittadelle del profitto tradizionale:
"Il capitalismo del XXI secolo o sarà sostenibile o non sarà" - questa che sembrava una provocazione intellettuale diventa oggi norma cogente.
L'obbligo di monitoraggio e reporting non è mera burocrazia: è l'affermazione di un principio rivoluzionario secondo cui la trasparenza è la nuova licenza sociale per operare. Le imprese che accantonano, investono e assumono secondo i criteri dell'IRES premiale non ottengono solo un beneficio fiscale: acquisiscono legittimità sociale.
Apparentemente paradossale, l'IRES premiale dimostra che i vincoli possono essere liberatori. Obbligando le imprese ad accantonare utili, investire in tecnologia e assumere personale, la norma le libera dalla prigione del breve termine, dalla competizione al ribasso, dalla spirale della precarizzazione.
È la traduzione normativa di un'intuizione filosofica antica: "La libertà non è fare ciò che si vuole, ma volere ciò che si deve". Le imprese vengono "costrette" a comportamenti che, nel lungo termine, ne garantiscono la sostenibilità competitiva.
La vera sfida dell'IRES premiale non è tecnica ma culturale. Richiede il superamento di quella che potremmo definire l'inerzia antropologica del capitalismo estrattivo: la tendenza atavica a massimizzare il profitto immediato a scapito del valore futuro.
La temporaneità della misura (solo per il 2025) non è un limite ma un acceleratore darwiniano: sopravvivono le imprese che evolvono rapidamente. Come sosteneva Schumpeter, la "distruzione creatrice" del capitalismo trova qui una nuova declinazione: distrugge i modelli di business obsoleti per crearne di sostenibili.
L'IRES premiale non è una semplice agevolazione fiscale: è il manifesto di un nuovo contratto sociale tra impresa, Stato e società. Un contratto che ridefinisce i termini dello scambio: benefici fiscali in cambio di responsabilità sociale, profitto in cambio di prosperità condivisa, crescita in cambio di sostenibilità.
"Non si tratta di scegliere tra profitto e purpose, ma di capire che il purpose è il nuovo profitto". Le imprese che comprenderanno questa transizione paradigmatica non solo beneficeranno dell'IRES premiale, ma si posizioneranno come leader della nuova economia post-estrattiva.
La storia economica insegna che ogni grande trasformazione inizia con piccoli esperimenti normativi. L'IRES premiale potrebbe essere ricordata come il momento in cui il capitalismo italiano ha iniziato la sua metamorfosi da sistema di estrazione del valore a ecosistema di generazione del valore condiviso.
Il futuro dirà se questa misura temporanea diventerà strutturale. Ma già oggi possiamo affermare che ha aperto una breccia irreversibile: i principi ESG sono penetrati nel sancta sanctorum della fiscalità d'impresa. E da lì, come un virus benefico, contamineranno progressivamente l'intero sistema economico, trasformandolo dall'interno.
Dott.ssa Maria Teresa Caracciolo